Tempo fa ho visto una mostra di Roy
Lichtenstein. C’era un disegno che mi aveva colpita
particolarmente. Si trattava di un frigo aperto, con una mano
femminile che lo stava pulendo.
Certo, la solita associazione: il frigo
e il mondo femminile.
Però se si osserva qualcuno aprire il
frigo, scivolando con lo sguardo lungo i piani, da destra a sinistra,
da sopra a sotto, appena trovato qualcosa di appettitoso si nota
quello schizzo di felicità che illumina gli occhi, che mi ricorda
proprio quello dei neonati quando vedono la mamma con la tetta piena
e pronta. L’abbondanza alimentare e l’immediata soddisfazione, in
effetti, fanno parte del mondo delle donne.
Noi in casa avevamo dei problemi col
frigo.
Ormai è morto. Aveva 20 anni in
groppa, era una fine lenta, inevitabile accompagnata da strani
mugugni e rivoli di liquido marrone che si versava nelle fessure tra
le mattonelle.
Noi che la morte la teniamo gelosamente
lontano dalla nostra vita, nella frenesia della quotidianità per
diversi giorni non ce ne siamo neanche accorti.
Quando le verdure erano ricoperte da
una morbida peluria di muffa ci allarmavamo.
Seguivano tentativi di rianimazione,
scuotimenti, smontatura del termostato, tutto inutile.
Qualcosa ci impediva di fare il
funerale nella discarica: il nostro obsoleto elettrodomestico ci
aveva fatto compagnia da tempo, fedele, nel suo modo modesto e leale.
Non aveva niente della carcassa, sembrava piuttosto una cassa di
risonanza con piccoli cristalli di pensieri appesi nel vuoto.
Si sperava che qualche mano esperta lo
potesse riportare in vita e mentre aspettavamo il miracolo, il cibo
era esternalizzato sul balconcino.
Il clima ci dava una mano, finché
imprevisti giorni di pioggia complicavano l’andazzo.
La vita famigliare cambiava, la spesa
si doveva fare ogni giorno, si cominciava a litigare perché mancava
questo o quello.
Nei suoi tempi migliori il frigo non
era solo un contenitore ordinato, ma allo stesso momento era anche il
dirigente segreto del menu. I cibi di prossima scadenza sempre ben
visibili in prima fila toglievano le difficili decisioni su che cosa
mangiare, perché si cucinava secondo i termini stampati sulle
confezioni. Non ci rendevamo conto che il cibo, che doveva essere
mantenuto fresco dal frigo, in realtà era 'fresco' per via della
temperatura, non per l’età: mangiavamo frutta e verdura che aveva
subito uno strano lifting. Chi ha un orto, sa di cosa parlo. La
verdura raccolta in giardino, sopravvive al massimo un giorno in
frigo, dopo diventa molliccia e perde il sapore.
Ma nonostante tutto eravamo affezionati
al nostro frigo, non era mica colpa sua se gasano le mele e incerano
le zucchine.
- “Potremmo - propose nostro figlio -
chiedere alla vicina di casa di congelare dei cubi grossi di giaccio
nel freezer e utilizzarli nel frigo, come si faceva tanti anni fa
quando i venditori di giaccio passavano per le case.”
Però prima che potessimo realizzare
questa idea venne il tecnico e, dopo poche prove, stabilì
l’insufficienza cardiaca. Il motore non riusciva più a pompare in
alto il freddo.
Agli uomini fanno dei bypass, ma il
destino di una macchina è più drastico.
Mentre toglievo dalla porta il quadro
magnetizzato di Guernica con i suoi uomini e animali straziati nostro
figlio commentava con nostalgia: “Lo avevate già prima che io
nascessi.”
Ormai sono passati diversi anni.
Abbiamo risposato un nuovo frigo, splendente, silenzioso, un perfetto
elettrodomestico, categoria triplice A, status symbol del
politically corretto. Ma niente è più come prima, non solo perché
tutto il paese ha perso le sue tre A.
Da quel giorno siamo presi da una
strana inquietudine, come se stessimo aspettando qualcosa, come se il
“Geist”, lo spirito, del nostro vecchio Kelvinator stesse ancora
vagando come un Odradek tra le mura della cucina e non riuscisse a
completare la metempsicosi verso il suo successore brillante.
Laboratorio di scrittura 2012
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