venerdì 17 gennaio 2014

*Il frigo* di Antje Stehn




Tempo fa ho visto una mostra di Roy Lichtenstein. C’era un disegno che mi aveva colpita particolarmente. Si trattava di un frigo aperto, con una mano femminile che lo stava pulendo.
Certo, la solita associazione: il frigo e il mondo femminile.
Però se si osserva qualcuno aprire il frigo, scivolando con lo sguardo lungo i piani, da destra a sinistra, da sopra a sotto, appena trovato qualcosa di appettitoso si nota quello schizzo di felicità che illumina gli occhi, che mi ricorda proprio quello dei neonati quando vedono la mamma con la tetta piena e pronta. L’abbondanza alimentare e l’immediata soddisfazione, in effetti, fanno parte del mondo delle donne.

Noi in casa avevamo dei problemi col frigo.
Ormai è morto. Aveva 20 anni in groppa, era una fine lenta, inevitabile accompagnata da strani mugugni e rivoli di liquido marrone che si versava nelle fessure tra le mattonelle.
Noi che la morte la teniamo gelosamente lontano dalla nostra vita, nella frenesia della quotidianità per diversi giorni non ce ne siamo neanche accorti.
Quando le verdure erano ricoperte da una morbida peluria di muffa ci allarmavamo.
Seguivano tentativi di rianimazione, scuotimenti, smontatura del termostato, tutto inutile.
Qualcosa ci impediva di fare il funerale nella discarica: il nostro obsoleto elettrodomestico ci aveva fatto compagnia da tempo, fedele, nel suo modo modesto e leale. Non aveva niente della carcassa, sembrava piuttosto una cassa di risonanza con piccoli cristalli di pensieri appesi nel vuoto.
Si sperava che qualche mano esperta lo potesse riportare in vita e mentre aspettavamo il miracolo, il cibo era esternalizzato sul balconcino.
Il clima ci dava una mano, finché imprevisti giorni di pioggia complicavano l’andazzo.
La vita famigliare cambiava, la spesa si doveva fare ogni giorno, si cominciava a litigare perché mancava questo o quello.
Nei suoi tempi migliori il frigo non era solo un contenitore ordinato, ma allo stesso momento era anche il dirigente segreto del menu. I cibi di prossima scadenza sempre ben visibili in prima fila toglievano le difficili decisioni su che cosa mangiare, perché si cucinava secondo i termini stampati sulle confezioni. Non ci rendevamo conto che il cibo, che doveva essere mantenuto fresco dal frigo, in realtà era 'fresco' per via della temperatura, non per l’età: mangiavamo frutta e verdura che aveva subito uno strano lifting. Chi ha un orto, sa di cosa parlo. La verdura raccolta in giardino, sopravvive al massimo un giorno in frigo, dopo diventa molliccia e perde il sapore.
Ma nonostante tutto eravamo affezionati al nostro frigo, non era mica colpa sua se gasano le mele e incerano le zucchine.
- “Potremmo - propose nostro figlio - chiedere alla vicina di casa di congelare dei cubi grossi di giaccio nel freezer e utilizzarli nel frigo, come si faceva tanti anni fa quando i venditori di giaccio passavano per le case.”
Però prima che potessimo realizzare questa idea venne il tecnico e, dopo poche prove, stabilì l’insufficienza cardiaca. Il motore non riusciva più a pompare in alto il freddo.
Agli uomini fanno dei bypass, ma il destino di una macchina è più drastico.
Mentre toglievo dalla porta il quadro magnetizzato di Guernica con i suoi uomini e animali straziati nostro figlio commentava con nostalgia: “Lo avevate già prima che io nascessi.”
Ormai sono passati diversi anni. Abbiamo risposato un nuovo frigo, splendente, silenzioso, un perfetto elettrodomestico, categoria triplice A, status symbol del politically corretto. Ma niente è più come prima, non solo perché tutto il paese ha perso le sue tre A.
Da quel giorno siamo presi da una strana inquietudine, come se stessimo aspettando qualcosa, come se il “Geist”, lo spirito, del nostro vecchio Kelvinator stesse ancora vagando come un Odradek tra le mura della cucina e non riuscisse a completare la metempsicosi verso il suo successore brillante. 


Laboratorio di scrittura 2012

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