domenica 10 gennaio 2016

Pan

di Gabriela Mistral



Dejaron un pan en la mesa,
mitad quemado, mitad blanco,
pellizcado encima y abierto
en unos migajones de ampo.

Me parece nuevo o como no visto,
y otra cosa que él no me ha alimentado,
pero volteando su miga, sonámbula,
tacto y olor se me olvidaron.

Huele a mi madre cuando dio su leche,
huele a tres valles por donde he pasado:
a Aconcagua, a Pátzcuaro, a Elqui,
y a mis entrañas cuando yo canto.

Otros olores no hay en la estancia
y por eso él así me ha llamado;
y no hay nadie tampoco en la casa
sino este pan abierto en un plato,
que con su cuerpo me reconoce
y con el mío yo reconozco.

Se ha comido en todos los climas
el mismo pan en cien hermanos:
pan de Coquimbo, pan de Oaxaca,
pan de Santa Ana y de Santiago.

En mis infancias yo le sabía
forma de sol, de pez o de halo,
y sabía mi mano su miga
y el calor de pichón emplumado...

Después le olvidé, hasta este día
en que los dos nos encontramos,
yo con mi cuerpo de Sara vieja
y él con el suyo de cinco años.

Amigos muertos con que comíalo
en otros valles, sientan el vaho
de un pan en septiembre molido
y en agosto en Castilla segado.

Es otro y es el que comimos
en tierras donde se acostaron.
Abro la miga y les doy su calor;
lo volteo y les pongo su hálito.

La mano tengo de él rebosada
y la mirada puesta en mi mano;
entrego un llanto arrepentido
por el olvido de tantos años,
y la cara se me envejece
o me renace en este hallazgo.

Como se halla vacía la casa,
estemos juntos los reencontrados,
sobre esta mesa sin carne y fruta,
los dos en este silencio humano,
hasta que seamos otra vez uno
y nuestro día haya acabado...



(Ringrazio Elisabetta Polo che mi ha fatto conoscere questa poesia)




giovedì 30 ottobre 2014



Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Maria
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 29 settembre 2014

I ndicazioni
L uminose

T rovano
E nfasi
M entre
P reparo
O rtaggi.

D entro
E lementi
L indi
L entamente
E mergo

D eposti
O rpelli.
N on
N ego
E videnze.



Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Cristina
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 29 settembre 2014

Ingenue
Lacune

Tra
Esseri
Mascherati
Protesi
Ovunque.

Dieci
Equivoci
Lasciano
Luci
Evanescenti

Dare
Ospitalità
Nel
Nido
Esistente.

Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Francesca
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 20 settembre 2014


Insieme
Leghiamo

Tante
Energie
Ma
Poi
Ostacoli

Dall'
Esterno
Le
Lacerano.
Essere

Donne
Ottenendo
Nuovamente
Nuove
Energie

venerdì 27 giugno 2014

* Psicofagia* di Giorgio Manganelli

Per psicofagia intendo lo specifico effetto psichico che viene esercitato da un certo cibo, o da una sequenza di cibi; ed è utile per chi tende alla depressione, l'angoscia, l'ansia, la mania, il delirio, la paranoia, la tendenza al suicidio o all'omicidio, specie se frettoloso e indiscriminato. Non conosco, e dico il vero, ansiolitico paragonabile al peperoncino; che, guizzante e mordente, fa del vostro sudario una impeccabile marsina, con fiore all'occhiello. Delicate anime insicure diventano baldanzose dopo una semplice pastasciutta, generosamente condita, anche un poco volgare. Il lesso misto con mostarda di Cremona dà una matura pacatezza, e l'impressione di essere padre di numerosi figli, tutti bene affermati nella vita. La cotoletta alla milanese agisce bene solo se in sequenza: entro una settimana, comunica una pacata distensione, e la convinzione che la fine del mondo non ci riguarda. Una frittata può commuovere fino alle lacrime, ma insieme dare un calore infantile, una tenera rassicurazione che ci consenta di doppiare il tempestoso capo di una notte di aspra solitudine.
Il furore omicida si devia con cibi irti e sapidi: osso di prosciutto, e le divine cotenne con fagioli; buoni, questi, per distogliere da pensieri suicidi, ma forse meglio gusti più insinuanti, selvaggina preziosa, lusinghiera, condita con elegante furore. Necessari vini, non buoni ma ottimi, ma da sorseggiare, non tracannare; giacché il vino non sempre allevia gli affanni, ma, regalmente impietoso, non di rado li ribadisce e radica.
Agli afflitti, a qualunque titolo, vino rosso; bianco ai deliranti, gli invasati, i torbidi. E, in ogni caso, a dritto o rovescio, peperoncino. Non a caso i vampiri paventano l'aglio; chi lo ama, ha un amuleto ctonio, una mandragora tratta dal cuore della terra, buono a disperdere le nottole dei crucci più segreti. Furba è la cipolla, allegra e sfacciata, altezzoso il rafano, sublime il porro, buoni per cervelli da sonetti e terze rime. Niente birra al malinconioso; un poeta ducentesco la dice, faziosamente, "fradicia bevagna"; forse è Cecco Angiolieri: appunto.

in Palato Immaginario, scritto inedito ripreso dalla rivista Leggere, Archinto Editore. Io l'ho trovato in Professione Comunicatore di Teresita Fabris, Mondadori 1997.

martedì 17 giugno 2014

* Pane e tempo * di Lucia Grassiccia

Quanto pane serve? 
Quanto tempo serve?
Tempo e attenzione sono davvero due cose diverse?
Ti offro la mia dose, mi domando la tua dose. Guardo il piatto che mi guarda, entrambi siamo pieni, inutili l'uno per l'altro. Non ho riserve di energia per bruciare calorie, non ho una cucina scaldata dal forno per accumularle.
Non ho le mani nella pasta e il mattarello è un bastone (solo infarinato).
Non ho bocche da sfamare; ah sì, la mia. Non ho tentazioni ma vorrei avere tentativi, allorché la bontà si presta alla mia bocca.
Un tozzo di pane durante il lavoro ti salva la vita, gli salva la coscienza. Un tozzo di pane si può stringere in mano durante i morsi, ti può calare nello stomaco per consolarlo. Ma prima e dopo lo potrai sempre desiderare.

Laboratorio di Scrittura alla Biblioteca Venezia, 7 giugno 2014

venerdì 23 maggio 2014

* Come mi cucino il lunedi * di Federico Bertellini

Avevo prenotato un tavolo vicino alla finestra in un ristorante molto esclusivo. La feci accomodare poi mi sedetti a mia volta. Hai fame? le dissi.
Lei annuì. E tu?
   Per tre quarti.
   Tre quarti?
   Intendo che ho lo stomaco vuoto per tre quarti. Dato che sapevo che avremmo dovuto cenare fuori, oggi non ho mangiato molto. Nonostante fosse lunedì.
   E perché? domandò. Di lunedì cosa mangi?
   Bè, dipende dagli impegni. Devo essere molto rigido, altrimenti vado in confusione. Questa cosa degli alimenti è molto delicata. Se non bilancio il giusto apporto di proteine, grassi, amminoacidi essenziali eccetera, possono succedere due cose molto spiacevoli. La prima è se non mangio a sufficienza. Allora in quel caso mi mancano le forze, perdo lucidità, non riesco a ragionare. Risultato: i lavori che devo fare li faccio male, sono distratto alle riunioni e sono scorbutico con gli amici. Alla lunga potrebbe portarmi addirittura a una retrocessione della mia posizione lavorativa, perdita di soldi, e di capelli, della macchina eccetera. E’ una questione che è meglio non sottovalutare.
L’altra eventualità è nel caso io mangi troppo. In quel caso, ingrasserei. Io non ci metto niente ad ingrassare, basta un grissino di troppo ed è finita. Dico sul serio. Devo stare attentissimo. La mia forma fisica d’altra parte è fondamentale per il lavoro che svolgo. Devo essere in forma per far vedere che il prodotto che vendo migliora la vita sotto tutti gli aspetti. Tu ti fideresti mai di un ciccione che vende bilance per pesarsi?
   Bè, no, ammise lei.
   Infatti. È praticamente la stessa cosa. Il risultato sarebbe la perdita di clienti, e quindi di capelli, la mia posizione lavorativa retrocederebbe, perderei macchina e appartamento. In buona sostanza, la mia intera vita si svolge in precario equilibrio. Da entrambe le parti c’è il baratro. Devo essere rigido e inflessibile. Devo calcolare eventualità e conseguenze. Prendiamo ad esempio il lunedì, la giornata più importante di tutti.
   Come mai? disse lei.
   Bè, è semplice. Di lunedì il corpo è ancora rimbambito dall’illusione di essere in vacanza. Bisogna essere severi con il proprio fisico. Inoltre, bisogna mangiare un po’ più degli altri giorni, per avere energie sufficienti per tutta la settimana. Per aiutarmi, divido la giornata in tre fasi. Colazione, pranzo e cena. Appena mi sveglio faccio esercizio fisico: cinquanta flessioni e cinquantacinque addominali. Tre serie di ognuno. Aggiungo una doccia per rinfrescarmi e poi termino la "colazione" affacciandomi dal terrazzo per cinque minuti. L’aria fresca aiuta a risvegliare il cervello. La stessa sensazione di un’insalata fresca e condita con pochi, essenziali elementi. Dopodiché esco. 
Il “pranzo” invece è la fase più lunga di tutte e anche la più imprevedibile. Comincia con il viaggio in macchina. Se dura più di dodici minuti, arrivo in ufficio nervoso e irritabile, e questo non è salutare. Così, se mi accorgo di essere in ritardo ci vado giù pesante con l’acceleratore. Immaginati un piatto di spaghetti al pecorino su cui macini pepe più che in abbondanza. 
Arrivato in ufficio, lavoro instancabilmente fino all’ora di pranzo, come un apprendista panettiere che lavora senza sosta l’impasto di una pagnotta. Dopodiché lascio riposare la pasta per un po’, cioè per la durata della pausa pranzo, quindi passo al contatto diretto con i clienti. Per fare un paragone, se mi capisci, i clienti non sono altro che la pasta che ho massaggiato febbrilmente per tutta la mattina. Ho raccolto informazioni, li ho studiati e li ho adulati. Una volta fatti riposare, sono pronti per essere “infornati”, se mi spiego. Anche questo è un processo molto delicato, in cui bisogna bilanciare tempi ed ingredienti. Quando ho finito, torno a casa felice e soddisfatto, pronto per passare all’ultima fase.
  La cena, disse lei.
  Esattamente. La cena. Se si tratta solo di me, preferisco stare leggero. Con gli anni ho capito che quello che mangio di sera è anche quello che sogno di notte. Un’insalata fresca e leggera sono nuvole, uno stinco condito sono tamburi sottoterra. A seconda di quello che voglio sognare, mi regolo di conseguenza. Se invece sono in compagnia, allora la cucina è un modo come un altro per dare sfoggio di sè. Danzo e mi esibisco tra i fornelli come un ballerino, e ottengo un risultato preciso e impeccabile, come una torta estremamente decorata.
Appena ebbi finito di parlare, si avvicinò un cameriere e ci elencò una per una le portate. Potrei anche dirvi che cosa ordinammo, ma sarebbe del tutto irrilevante. Non è tanto quello che mangiamo che definisce le nostre esistenze. Invece potrei dirvi che mi fu permesso di accompagnarla fino alla porta di casa, e quando feci per entrare anche io lei mi fermò e mi disse: oggi è lunedì. Di regola, il lunedì dormo da sola. Se avrai voglia di frequentarmi, dovrai rispettare questa cosa.

Ogni tanto è bello trovare qualcuno che la pensa proprio come te.


Laboratorio di Scrittura alla Biblioteca Venezia,
maggio 2014