giovedì 30 ottobre 2014



Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Maria
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 29 settembre 2014

I ndicazioni
L uminose

T rovano
E nfasi
M entre
P reparo
O rtaggi.

D entro
E lementi
L indi
L entamente
E mergo

D eposti
O rpelli.
N on
N ego
E videnze.



Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Cristina
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 29 settembre 2014

Ingenue
Lacune

Tra
Esseri
Mascherati
Protesi
Ovunque.

Dieci
Equivoci
Lasciano
Luci
Evanescenti

Dare
Ospitalità
Nel
Nido
Esistente.

Acrostico IL TEMPO DELLE DONNE
creato da Francesca
nel Laboratorio alla Biblioteca Venezia il 20 settembre 2014


Insieme
Leghiamo

Tante
Energie
Ma
Poi
Ostacoli

Dall'
Esterno
Le
Lacerano.
Essere

Donne
Ottenendo
Nuovamente
Nuove
Energie

venerdì 27 giugno 2014

* Psicofagia* di Giorgio Manganelli

Per psicofagia intendo lo specifico effetto psichico che viene esercitato da un certo cibo, o da una sequenza di cibi; ed è utile per chi tende alla depressione, l'angoscia, l'ansia, la mania, il delirio, la paranoia, la tendenza al suicidio o all'omicidio, specie se frettoloso e indiscriminato. Non conosco, e dico il vero, ansiolitico paragonabile al peperoncino; che, guizzante e mordente, fa del vostro sudario una impeccabile marsina, con fiore all'occhiello. Delicate anime insicure diventano baldanzose dopo una semplice pastasciutta, generosamente condita, anche un poco volgare. Il lesso misto con mostarda di Cremona dà una matura pacatezza, e l'impressione di essere padre di numerosi figli, tutti bene affermati nella vita. La cotoletta alla milanese agisce bene solo se in sequenza: entro una settimana, comunica una pacata distensione, e la convinzione che la fine del mondo non ci riguarda. Una frittata può commuovere fino alle lacrime, ma insieme dare un calore infantile, una tenera rassicurazione che ci consenta di doppiare il tempestoso capo di una notte di aspra solitudine.
Il furore omicida si devia con cibi irti e sapidi: osso di prosciutto, e le divine cotenne con fagioli; buoni, questi, per distogliere da pensieri suicidi, ma forse meglio gusti più insinuanti, selvaggina preziosa, lusinghiera, condita con elegante furore. Necessari vini, non buoni ma ottimi, ma da sorseggiare, non tracannare; giacché il vino non sempre allevia gli affanni, ma, regalmente impietoso, non di rado li ribadisce e radica.
Agli afflitti, a qualunque titolo, vino rosso; bianco ai deliranti, gli invasati, i torbidi. E, in ogni caso, a dritto o rovescio, peperoncino. Non a caso i vampiri paventano l'aglio; chi lo ama, ha un amuleto ctonio, una mandragora tratta dal cuore della terra, buono a disperdere le nottole dei crucci più segreti. Furba è la cipolla, allegra e sfacciata, altezzoso il rafano, sublime il porro, buoni per cervelli da sonetti e terze rime. Niente birra al malinconioso; un poeta ducentesco la dice, faziosamente, "fradicia bevagna"; forse è Cecco Angiolieri: appunto.

in Palato Immaginario, scritto inedito ripreso dalla rivista Leggere, Archinto Editore. Io l'ho trovato in Professione Comunicatore di Teresita Fabris, Mondadori 1997.

martedì 17 giugno 2014

* Pane e tempo * di Lucia Grassiccia

Quanto pane serve? 
Quanto tempo serve?
Tempo e attenzione sono davvero due cose diverse?
Ti offro la mia dose, mi domando la tua dose. Guardo il piatto che mi guarda, entrambi siamo pieni, inutili l'uno per l'altro. Non ho riserve di energia per bruciare calorie, non ho una cucina scaldata dal forno per accumularle.
Non ho le mani nella pasta e il mattarello è un bastone (solo infarinato).
Non ho bocche da sfamare; ah sì, la mia. Non ho tentazioni ma vorrei avere tentativi, allorché la bontà si presta alla mia bocca.
Un tozzo di pane durante il lavoro ti salva la vita, gli salva la coscienza. Un tozzo di pane si può stringere in mano durante i morsi, ti può calare nello stomaco per consolarlo. Ma prima e dopo lo potrai sempre desiderare.

Laboratorio di Scrittura alla Biblioteca Venezia, 7 giugno 2014

venerdì 23 maggio 2014

* Come mi cucino il lunedi * di Federico Bertellini

Avevo prenotato un tavolo vicino alla finestra in un ristorante molto esclusivo. La feci accomodare poi mi sedetti a mia volta. Hai fame? le dissi.
Lei annuì. E tu?
   Per tre quarti.
   Tre quarti?
   Intendo che ho lo stomaco vuoto per tre quarti. Dato che sapevo che avremmo dovuto cenare fuori, oggi non ho mangiato molto. Nonostante fosse lunedì.
   E perché? domandò. Di lunedì cosa mangi?
   Bè, dipende dagli impegni. Devo essere molto rigido, altrimenti vado in confusione. Questa cosa degli alimenti è molto delicata. Se non bilancio il giusto apporto di proteine, grassi, amminoacidi essenziali eccetera, possono succedere due cose molto spiacevoli. La prima è se non mangio a sufficienza. Allora in quel caso mi mancano le forze, perdo lucidità, non riesco a ragionare. Risultato: i lavori che devo fare li faccio male, sono distratto alle riunioni e sono scorbutico con gli amici. Alla lunga potrebbe portarmi addirittura a una retrocessione della mia posizione lavorativa, perdita di soldi, e di capelli, della macchina eccetera. E’ una questione che è meglio non sottovalutare.
L’altra eventualità è nel caso io mangi troppo. In quel caso, ingrasserei. Io non ci metto niente ad ingrassare, basta un grissino di troppo ed è finita. Dico sul serio. Devo stare attentissimo. La mia forma fisica d’altra parte è fondamentale per il lavoro che svolgo. Devo essere in forma per far vedere che il prodotto che vendo migliora la vita sotto tutti gli aspetti. Tu ti fideresti mai di un ciccione che vende bilance per pesarsi?
   Bè, no, ammise lei.
   Infatti. È praticamente la stessa cosa. Il risultato sarebbe la perdita di clienti, e quindi di capelli, la mia posizione lavorativa retrocederebbe, perderei macchina e appartamento. In buona sostanza, la mia intera vita si svolge in precario equilibrio. Da entrambe le parti c’è il baratro. Devo essere rigido e inflessibile. Devo calcolare eventualità e conseguenze. Prendiamo ad esempio il lunedì, la giornata più importante di tutti.
   Come mai? disse lei.
   Bè, è semplice. Di lunedì il corpo è ancora rimbambito dall’illusione di essere in vacanza. Bisogna essere severi con il proprio fisico. Inoltre, bisogna mangiare un po’ più degli altri giorni, per avere energie sufficienti per tutta la settimana. Per aiutarmi, divido la giornata in tre fasi. Colazione, pranzo e cena. Appena mi sveglio faccio esercizio fisico: cinquanta flessioni e cinquantacinque addominali. Tre serie di ognuno. Aggiungo una doccia per rinfrescarmi e poi termino la "colazione" affacciandomi dal terrazzo per cinque minuti. L’aria fresca aiuta a risvegliare il cervello. La stessa sensazione di un’insalata fresca e condita con pochi, essenziali elementi. Dopodiché esco. 
Il “pranzo” invece è la fase più lunga di tutte e anche la più imprevedibile. Comincia con il viaggio in macchina. Se dura più di dodici minuti, arrivo in ufficio nervoso e irritabile, e questo non è salutare. Così, se mi accorgo di essere in ritardo ci vado giù pesante con l’acceleratore. Immaginati un piatto di spaghetti al pecorino su cui macini pepe più che in abbondanza. 
Arrivato in ufficio, lavoro instancabilmente fino all’ora di pranzo, come un apprendista panettiere che lavora senza sosta l’impasto di una pagnotta. Dopodiché lascio riposare la pasta per un po’, cioè per la durata della pausa pranzo, quindi passo al contatto diretto con i clienti. Per fare un paragone, se mi capisci, i clienti non sono altro che la pasta che ho massaggiato febbrilmente per tutta la mattina. Ho raccolto informazioni, li ho studiati e li ho adulati. Una volta fatti riposare, sono pronti per essere “infornati”, se mi spiego. Anche questo è un processo molto delicato, in cui bisogna bilanciare tempi ed ingredienti. Quando ho finito, torno a casa felice e soddisfatto, pronto per passare all’ultima fase.
  La cena, disse lei.
  Esattamente. La cena. Se si tratta solo di me, preferisco stare leggero. Con gli anni ho capito che quello che mangio di sera è anche quello che sogno di notte. Un’insalata fresca e leggera sono nuvole, uno stinco condito sono tamburi sottoterra. A seconda di quello che voglio sognare, mi regolo di conseguenza. Se invece sono in compagnia, allora la cucina è un modo come un altro per dare sfoggio di sè. Danzo e mi esibisco tra i fornelli come un ballerino, e ottengo un risultato preciso e impeccabile, come una torta estremamente decorata.
Appena ebbi finito di parlare, si avvicinò un cameriere e ci elencò una per una le portate. Potrei anche dirvi che cosa ordinammo, ma sarebbe del tutto irrilevante. Non è tanto quello che mangiamo che definisce le nostre esistenze. Invece potrei dirvi che mi fu permesso di accompagnarla fino alla porta di casa, e quando feci per entrare anche io lei mi fermò e mi disse: oggi è lunedì. Di regola, il lunedì dormo da sola. Se avrai voglia di frequentarmi, dovrai rispettare questa cosa.

Ogni tanto è bello trovare qualcuno che la pensa proprio come te.


Laboratorio di Scrittura alla Biblioteca Venezia,
maggio 2014

lunedì 19 maggio 2014

* Gusti e sapori * di Elisabetta Quadranti


Il gusto che amo di più è quello della SERENITA’: è semplice e caldo, riso e condiviso come gli spaghetti al pomodoro che adoro.

La PAURA è il sapore che arriva piano piano, è grasso e salato e un po’ freddo… come un arrosto bruciacchiato che non vorresti mangiare, ma sei obbligato a farlo.

La SPERANZA è dolce o soffice come una torta al cioccolato ancora tiepida che qualcuno ti ha cucinato con amore, inaspettatamente.

La DELUSIONE ha il gusto amaro, aspro e gelido di un cocktail che hai ordinato senza conoscerne gli ingredienti.


Laboratorio alla Biblioteca Venezia,
maggio 2014

domenica 27 aprile 2014

*Come mi piacerebbe essere cucinata* di Brigitte Capou

A me non piacerebbe essere cucinata sempre allo stesso modo...
Secondo l'umore: 
al forno col rosmarino, 
fritta e croccante cosparsa di timo, 
cotta nel latte con crosta di formaggio tipo gratin, 
in insalata con cipolla e pomodori, 
a forma di polpettina
oppure ripiena,
ecc...

giovedì 20 marzo 2014

*Riso quasi Indiano* di Elisabetta Polo


Cara Lucia,
Grazie per il bel pomeriggio, le chiacchiere, il tè. E per la tua squisitissima crostata.
Sono tornata a casa di buon umore e ho chiuso in bellezza con un riso quasi indiano, quello bianco e nero che piace a me, saltato in padella con cipolle, carote, sedano, zucchine, carciofi, curry. E una birra.
Ci sarebbe stata bene un'altra fetta della tua torta, ma poi oggi ho dimenticato di portarmela via. Starò piú "accuorta" la prossima volta.

Allego ricetta. È cosa semplice ma mette allegria, con tanti colori.
Narcisa e immodesta come sempre, dirai tu.
Baci
betty


Ricetta, Riso quasi indiano
Ricetta semplicissima e gustosa:
Bollire il riso al dente, miscela di riso bianco parboiled e riso nero (Zizania Palustris), e saltarlo poi in padella con un soffritto di tanti sapori che abbiamo in casa, cipolla, carote, sedano, carciofi, radicchio...
E una bella spolverata di curry.

lunedì 17 marzo 2014


Canestra di frutta
Michelangelo Merisi da Caravaggio
1599
Pinacoteca Ambrosiana, Milano

da *Il cibo dell'anima* di Salvatore Natoli

Estratto dal volume *Il cibo dell'anima* 
di Salvatore Natoli
Edizioni Albo Versorio, Milano 2013


Per gustare, sul cibo bisogna indugiare e questa è un'altra sapienza: se si mangia veloce non si gusta, il cibo ha bisogno di tempo e di sosta. Nel nostro mondo, il mondo della velocità, si vede bene come ormai vi sia un cibarsi disperato che impone poi da sé l'introduzione di correttivi, come per esempio l'abuso di diete peregrine. Correttivi che una moderazione costante eviterebbe poiché produrrebbe da sé, nel suo esercizio, equilibrio.

In questo senso, dunque, da un lato, assestando il livello e riprendendo il senso della misura aristotelica, il distacco è la condizione del piacere, non del godimento immediato ma della sua stabilizzazione nel tempo, dall'altro il cibo è qualcosa che si consuma insieme perché mangiare da soli vuol dire mangiare per la sopravvivenza, mentre condividere il pasto vuol dire scambiare vita. Infatti, una delle caratteristiche fondamentali del simposio antico - e non solo antico - era quella di essere un'occasione per conversare. Lo stesso Simposio di Platone ne era un modello, ma anche oggi, la cena è organizzata per stare insieme e per conversare, in essa pane e cibo diventano parola. Nel mangiare da soli si nasce, nel mangiare insieme si conversa e il cibo materiale diventa l'occasione per nutrirsi delle parole degli altri.

lunedì 3 marzo 2014

*Zafferano* di Elisabetta Polo

Vado a trovare mia sorella. 
Non ci vediamo da mesi. Telefonate poche e scarne. 
Qualche vecchia incomprensione. Pesano troppi non detti. 
Entrando, mi accoglie un profumo di zafferano burroso. Risotto con gli ossibuchi. Il piatto forte di nostra madre, ai tempi. 
Ecco. 
Ora so che possiamo di nuovo abbandonarci a questo tempo insieme,
anche senza dire. 
In quiete. 

Laboratorio 2012

giovedì 27 febbraio 2014

*lo Stato di Mangiare* di Italo Calvino

Estratto da  
I FRANCOBOLLI DEGLI STATI D'ANIMO
in Collezione di Sabbia

Per tutta la sua vita Donald Evans ha fatto francobolli. Francobolli immaginari di paesi immaginari, disegnati con matite o inchiostri colorati e dipinti a acquarello, ma scrupolosamente fedeli a tutto ciò che ci si aspetta da un francobollo, al punto di sembrare, a una prima occhiata, veri.
[...]
È soprattutto attraverso i cibi che Evans stabilisce il suo rapporto con i paesi, cogliendo durante i suoi viaggi i sapori e gli aromi più caratteristici. Dopo un viaggio in Italia inventa un nuovo paese, "Mangiare", la cui moneta si calcola in grammi e i cui raffinatissimi francobolli sono un museo d'ortaggi e frutti e erbe: dal pisello, dal cappero, dal pinolo, dall'oliva, (immagini puntiformi che campeggiano incorniciate con eleganza) al fiore di zucchino, al rosmarino, al sedano, ai broccoli.
Lo "Stato di Mangiare" dedica una speciale emissione alla ricetta per il pesto alla genovese, con gli ingredienti fondamentali (basilico, pinoli, formaggio pecorino, aglio). Un'altra serie (datata 1927) esalta il cetriolo sotto forma di dirigibile. Durante la Seconda Guerra Mondiale lo Stato di Mangiare viene invaso dall'esercito di Antipasto: una soprascritta designa i francobolli della zona occupata. Nel dopoguerra, una regione di Mangiare, chiamata Pasta, diventa autonoma; le "Poste Paste" emettono una serie che è uno splendore campionario di varietà di pastasciutta.
Anche la nostralgia per la madrepatria dell'americano in Europa si concentra su visioni mangerecce: la frutta. Le suggestive tavole dedicate a un paese chiamato "My Bonnie" ("My Bonnie lies over the ocean", dice la canzone) sono punteggiate di ciliegie apparentemente tutte uguali, ma ognuna con una gradazione di rosso diversa e un nome, presi da cataloghi di stabilimenti agricoli.
[...]

domenica 16 febbraio 2014

*Vorrei essere* di Maddalena Melacini

Vorrei essere pane
per te
morbido, accogliente
profumato
Vorrei essere acqua
per te, ancora
limpida, trasparente
a volontà
Vorrei essere sale
per te
pungente, saporente
cristallino
Vorrei essere miele
dorato, pregnante
che invita alla dolcezza della vita
e la rigenera,
vorrei essere latte
bianco, tanto, completo
a riempire quel vuoto che mai finirà.


Laboratorio 2012

mercoledì 5 febbraio 2014

*Menu del giorno* di Cristina Insaghi



Antipasto
Fretta saltata con crema di buon umore.

Primo piatto
Gnocco ripieno di pensieri e preoccupazioni.

Secondo piatto
Pioggia di emozioni e sensazioni con contorno di difficoltà.

Dolce
Respiro lento al profumo di spazi aperti.


lunedì 27 gennaio 2014

*Castagnaccio* di Anna Parigi


In pieno autunno e poi d’inverno la cucina era densa di umidi vapori, i vetri si appannavano e noi bambini vi scrivevamo i nostri nomi. La mamma era indaffarata ai tegami borbottanti di minestroni, stracotti e fagioli all’uccelletto. Tanti profumi da portare in tavola, ma il più dolce e avvolgente era quello del castagnaccio , che invadeva il corridoio fino all’anticamera. All’epoca questo dolce rustico, se di dolce si può parlare, era poco conosciuto in Lombardia e a Milano lo si poteva trovare in qualche panetteria preparato in maniera impropria, era cioè di spessore alto e massiccio, una sorta di mattonella ben lungi dall’assomigliare al basso, unto, fragrante castagnaccio di Lucca o Firenze.

Quando sentivo il profumo di castagna lievemente corretto dall’aroma dei pinoli e dell’olio d’oliva mi riempivo di contentezza, i polmoni si allargavano a quell’aria calda di forno trascinante un che di natura e di bosco: gli ingredienti del castagnaccio erano infatti tutti frutti della terra, semplici ed essenziali come l’alito di vita.
La farina di castagna aveva una consistenza impalpabile dovuta al lungo particolare trattamento a cui erano, per tradizione, sottoposte le castagne in Toscana. Un procedimento, come appresi più tardi, molto diverso da quello impiegato in Piemonte e in altre regioni d’Italia. Sui monti della Toscana le castagne erano essiccate in locali di pietra su un graticcio, sotto il quale, per circa quaranta giorni, ardeva un fuocherello alimentato da legna di castagno. Poi tolti gusci e pellicine venivano macinate ottenendo una farina impalpabile come la cipria e dolce perchè priva dell’epiderma che rende amarognole tutte le altre farine di castagne.

Dunque il nostro castagnaccio era preparato con farina rigorosamente toscana secondo l’antica semplicissima ricetta: farina di castagna, acqua, olio d’oliva e pinoli. Sciolti i grumi, il liquido non doveva essere troppo denso e, versato in una teglia, doveva arrivare a metà bordo per ottenere un castagnaccio né troppo alto né troppo basso. In ogni caso era preferibile basso perché più saporito. La mia fetta unta, morbida, con i pinoli sparsi era per me bambina la memoria di immagini forse non del tutto chiare e consapevoli delle mie origini, di quelle dei miei genitori e giù giù nel tempo dei miei antenati. Era una sorta di correlativo oggettivo eliottiano che evocava terra, selve, rocce, e soprattutto una lingua con la “c” aspirata, con quella consonante etrusca arrivata fino a me tramite mia madre e mio padre. Non diceva infatti la mamma scherzando - ma non tanto - che noi discendevamo dagli Etruschi?

Laboratorio alla Biblioteca Venezia, 2012

venerdì 17 gennaio 2014

*Il frigo* di Antje Stehn




Tempo fa ho visto una mostra di Roy Lichtenstein. C’era un disegno che mi aveva colpita particolarmente. Si trattava di un frigo aperto, con una mano femminile che lo stava pulendo.
Certo, la solita associazione: il frigo e il mondo femminile.
Però se si osserva qualcuno aprire il frigo, scivolando con lo sguardo lungo i piani, da destra a sinistra, da sopra a sotto, appena trovato qualcosa di appettitoso si nota quello schizzo di felicità che illumina gli occhi, che mi ricorda proprio quello dei neonati quando vedono la mamma con la tetta piena e pronta. L’abbondanza alimentare e l’immediata soddisfazione, in effetti, fanno parte del mondo delle donne.

Noi in casa avevamo dei problemi col frigo.
Ormai è morto. Aveva 20 anni in groppa, era una fine lenta, inevitabile accompagnata da strani mugugni e rivoli di liquido marrone che si versava nelle fessure tra le mattonelle.
Noi che la morte la teniamo gelosamente lontano dalla nostra vita, nella frenesia della quotidianità per diversi giorni non ce ne siamo neanche accorti.
Quando le verdure erano ricoperte da una morbida peluria di muffa ci allarmavamo.
Seguivano tentativi di rianimazione, scuotimenti, smontatura del termostato, tutto inutile.
Qualcosa ci impediva di fare il funerale nella discarica: il nostro obsoleto elettrodomestico ci aveva fatto compagnia da tempo, fedele, nel suo modo modesto e leale. Non aveva niente della carcassa, sembrava piuttosto una cassa di risonanza con piccoli cristalli di pensieri appesi nel vuoto.
Si sperava che qualche mano esperta lo potesse riportare in vita e mentre aspettavamo il miracolo, il cibo era esternalizzato sul balconcino.
Il clima ci dava una mano, finché imprevisti giorni di pioggia complicavano l’andazzo.
La vita famigliare cambiava, la spesa si doveva fare ogni giorno, si cominciava a litigare perché mancava questo o quello.
Nei suoi tempi migliori il frigo non era solo un contenitore ordinato, ma allo stesso momento era anche il dirigente segreto del menu. I cibi di prossima scadenza sempre ben visibili in prima fila toglievano le difficili decisioni su che cosa mangiare, perché si cucinava secondo i termini stampati sulle confezioni. Non ci rendevamo conto che il cibo, che doveva essere mantenuto fresco dal frigo, in realtà era 'fresco' per via della temperatura, non per l’età: mangiavamo frutta e verdura che aveva subito uno strano lifting. Chi ha un orto, sa di cosa parlo. La verdura raccolta in giardino, sopravvive al massimo un giorno in frigo, dopo diventa molliccia e perde il sapore.
Ma nonostante tutto eravamo affezionati al nostro frigo, non era mica colpa sua se gasano le mele e incerano le zucchine.
- “Potremmo - propose nostro figlio - chiedere alla vicina di casa di congelare dei cubi grossi di giaccio nel freezer e utilizzarli nel frigo, come si faceva tanti anni fa quando i venditori di giaccio passavano per le case.”
Però prima che potessimo realizzare questa idea venne il tecnico e, dopo poche prove, stabilì l’insufficienza cardiaca. Il motore non riusciva più a pompare in alto il freddo.
Agli uomini fanno dei bypass, ma il destino di una macchina è più drastico.
Mentre toglievo dalla porta il quadro magnetizzato di Guernica con i suoi uomini e animali straziati nostro figlio commentava con nostalgia: “Lo avevate già prima che io nascessi.”
Ormai sono passati diversi anni. Abbiamo risposato un nuovo frigo, splendente, silenzioso, un perfetto elettrodomestico, categoria triplice A, status symbol del politically corretto. Ma niente è più come prima, non solo perché tutto il paese ha perso le sue tre A.
Da quel giorno siamo presi da una strana inquietudine, come se stessimo aspettando qualcosa, come se il “Geist”, lo spirito, del nostro vecchio Kelvinator stesse ancora vagando come un Odradek tra le mura della cucina e non riuscisse a completare la metempsicosi verso il suo successore brillante. 


Laboratorio di scrittura 2012

sabato 11 gennaio 2014

*Privilegio immorale* di Roberto Iannetti



Le caratteristiche dello “special meal”, il pasto speciale, sono tante.
In Louisiana non deve costare più di 15 dollari, mentre in Florida si può arrivare fino a 40, ma deve essere cucinato solo con ingredienti locali.
Nello “special meal” si può richiedere ciò che si vuole, ma non tabacco o alcolici. Si può condividere lo “special meal” con un amico, ma si può anche decidere di regalare lo “special meal” ad altri amici.
In Texas lo “special meal” era una amatissima tradizione, gratuita e senza limiti.
Un sogno! Potevi ordinare tutto ciò che volevi!
Una tradizione che è durata per molti anni, dai primi del 1900 fino al 2011, ma poi è stata abolita. Colpa di un certo Lawrence Russell Brewer.
Il signor Brewer ha approfittato della gratuità dello “special meal” per ordinare: due bistecche di pollo fritto con salsa di cipolle, una omelette con formaggio, pomodori, cipolle, peperoni e peperoncini, un triplo cheeseburger con pancetta, una grande porzione di gombo fritto con ketchup, un arrosto misto di carne alla brace, tre piatti di fajita, pane, una pizza con peperoni, prosciutto, pancetta e salsiccia, una grande confezione di gelato, burro d'arachidi e tre birre analcoliche. Insomma, davvero un pasto speciale.
Ma, e in ogni storia che si rispetti c’è sempre un ma, il 21 settembre 2011 il signor Brewer, sedutosi a tavola di fronte a tutto questo ben di Dio, non toccò neanche la forchetta. “Non ho fame” disse.
Fu davvero uno scandalo. Intervennero deputati, governatori, senatori. La tv e i giornali ne parlarono per mesi. Rifiutare uno “special meal”? Che il signor Brewer fosse una cattiva persona questo già lo si sapeva, nessuno aveva dubbi a riguardo, ma ordinare un pasto del genere e poi rifiutarlo… questo era davvero immorale!
“Basta!” tuonarono dalle alte sfere, “l’era dello special meal in Texas finisce qui!”
La fine di un privilegio immorale.
Dopo questo evento, solo in Texas, nel 2012, ben dieci persone non hanno potuto avere il loro “special meal”. Tutto per colpa dello scherzetto del signor Brewer.
Domani, 18 ottobre 2012, il signor Anthony Haynes, non potrà godere del suo “special meal”. Sarà un semplice “last meal”, un banalissimo ultimo pasto.

Ricetta: Fate entrare il signor Haynes in una stanza, fatelo stendere su un lettino e legatelo attentamente ai polsi, ai bicipiti, al torace, all’addome e alle gambe. Sistemate un ago per braccio. Aprite la tenda di fronte al signor Haynes, di fronte a voi ci saranno cinque testimoni, non abbiate timore, loro sono lì per guardare. Iniettate nel corpo del signor Haynes i tre flaconi che vi trovate davanti. Una fiala di barbiturico (servirà a provocare l’incoscienza), una fiala di un derivato del curaro a vostra scelta (servirà a paralizzare la respirazione) ed infine una fiala di cloruro di potassio (si tufferà nelle vene per correre in fretta a bloccare definitivamente il cuore del signor Haynes).
Aspettate circa dieci minuti o un quarto d’ora.

Il signor Brewer era un omicida e un razzista. Insieme ad altri due uomini ha ucciso un uomo di colore picchiandolo, legandolo ad un camioncino e trascinandolo per chilometri lungo l’asfalto.
Il condannato a morte Brewer è stato ucciso per iniezione letale il 21 settembre 2011.
Il signor Haynes ha 33 anni e nel 1998, quando di anni ne aveva 19, ha ucciso un poliziotto.
Il condannato a morte Haynes morirà domani, 18 ottobre 2012, per iniezione letale.


Laboratorio alla Biblioteca Venezia, 2012

*Pensieri illuminanti di una foglia di insalata* di Santo Zanolli




Io, foglia di insalata, sono diversa da voi umani, ma non quanto voi crediate.

Io, che mi alimento senza avere una bocca e respiro senza avere polmoni, come potrei non avere il pensiero, pur se priva di un cervello?

Senza avere occhi, io percepisco la luce, che è, assieme alla terra, nutrimento e sostanza del mio essere.

Io posso pensare le cose che vi dico perché ho una memoria storica e questa, come accade a voi umani senza che ve ne rendiate conto, mi consente di vivere e di sentire andando oltre la breve durata della mia esistenza. Ho accumulato dentro di me l’esperienza di miliardi di foglie di insalata che mi hanno preceduto, che hanno vissuto e visto cose che non fanno parte della mia specifica esperienza di vita, ma che pur conosco.

I temporali, gli arcobaleni, le soffici nevicate, le visite del gatto e quelle della più paziente lumaca non mi sono estranee.

Posso condividere con voi la sete e il dolore.

Infatti posso soffrire la sete per le nuvole capricciose o per il contadino distratto; posso subire le ingiurie dolorose di un passero dispettoso o della grandine assassina, e sentirmi triste e tremante nella notte troppo lunga, io che sono verde di luce.

Certo le notti di luna piena mi danno un lieve conforto e anche le notti stellate mi donano qualche sorriso; però solo il sole è in grado di darmi quel calore deciso e quella vibrante luminosità che mi fanno star bene…….come succede a voi del resto.

E quando il momento del trapasso verrà, mi auguro che non sia la interminabile marcescenza dovuta all’incoscienza di chi semina ma non raccoglie, ma il deciso passare di un coltello affilato, che tronchi con la vita anche qualsiasi sofferenza possibile. E questo è esattamente quello che voi umani augurate per voi stessi.

Laboratorio di scrittura 2012

venerdì 3 gennaio 2014

da *Salvataggio di Mezzanotte* di Adrienne Rich


8

Impossibile mangiare un uovo    Non sai dove è stato
Il comune corpo della gallina
non garantisce alcuna sicurezza     La campagna si rifiuta di fornirne
Il latte è in polvere   la carne è cara ed è anche drogata

Vecchie mura l'orgoglio di architetti    crollando
ci trovano in nicchie precarie    a dormire come volpi
noi cercatori noi non cercati noi
ricercati per il crimine di essere noi stessi

La fama striscia sul ventre come ogni altro animale a caccia di cibo
Le rovine sono crepe nel sistema che lasciano passare
erbacce e luce    ridisegnando
la Città delle Aspirazioni

Impossibile mangiare un uovo    Senza stupirsi, non senza essere felici
soffriggiamo verdure selvatiche e aglio    sfamiamo i gatti selvatici
e quando i documenti irregolari della nebbia si strappano
scrutiamo i suoi spiragli cercando stelle giovani
                     nella cintura di Orione

1996


Midnight Salvage
8

You cannot eat an egg    You don't know where it's been
The ordinary body of the hen
vouchsafes no safety    The countryside refuses to supply
Milk is powdered    meat's in both senses high

Old walls the pride of architects    collapsing
find us in crazed niches    sleeping like foxes
we wanters we unwanted we
wanted for the crime of being ourselves

Fame slides on its belly like any other animal after food
Ruins are disruptions of system leaking in
weeds and light    redrawing
the City of Expectations

You cannot eat an egg    Unstupefied not unhappy
we braise wild greens and garlic    feed the feral cats
and when the fog's irregular documents break open
scan its fissures for young stars
                     in the belt of Orion
 
 
 traduzione R.S.