venerdì 27 giugno 2014

* Psicofagia* di Giorgio Manganelli

Per psicofagia intendo lo specifico effetto psichico che viene esercitato da un certo cibo, o da una sequenza di cibi; ed è utile per chi tende alla depressione, l'angoscia, l'ansia, la mania, il delirio, la paranoia, la tendenza al suicidio o all'omicidio, specie se frettoloso e indiscriminato. Non conosco, e dico il vero, ansiolitico paragonabile al peperoncino; che, guizzante e mordente, fa del vostro sudario una impeccabile marsina, con fiore all'occhiello. Delicate anime insicure diventano baldanzose dopo una semplice pastasciutta, generosamente condita, anche un poco volgare. Il lesso misto con mostarda di Cremona dà una matura pacatezza, e l'impressione di essere padre di numerosi figli, tutti bene affermati nella vita. La cotoletta alla milanese agisce bene solo se in sequenza: entro una settimana, comunica una pacata distensione, e la convinzione che la fine del mondo non ci riguarda. Una frittata può commuovere fino alle lacrime, ma insieme dare un calore infantile, una tenera rassicurazione che ci consenta di doppiare il tempestoso capo di una notte di aspra solitudine.
Il furore omicida si devia con cibi irti e sapidi: osso di prosciutto, e le divine cotenne con fagioli; buoni, questi, per distogliere da pensieri suicidi, ma forse meglio gusti più insinuanti, selvaggina preziosa, lusinghiera, condita con elegante furore. Necessari vini, non buoni ma ottimi, ma da sorseggiare, non tracannare; giacché il vino non sempre allevia gli affanni, ma, regalmente impietoso, non di rado li ribadisce e radica.
Agli afflitti, a qualunque titolo, vino rosso; bianco ai deliranti, gli invasati, i torbidi. E, in ogni caso, a dritto o rovescio, peperoncino. Non a caso i vampiri paventano l'aglio; chi lo ama, ha un amuleto ctonio, una mandragora tratta dal cuore della terra, buono a disperdere le nottole dei crucci più segreti. Furba è la cipolla, allegra e sfacciata, altezzoso il rafano, sublime il porro, buoni per cervelli da sonetti e terze rime. Niente birra al malinconioso; un poeta ducentesco la dice, faziosamente, "fradicia bevagna"; forse è Cecco Angiolieri: appunto.

in Palato Immaginario, scritto inedito ripreso dalla rivista Leggere, Archinto Editore. Io l'ho trovato in Professione Comunicatore di Teresita Fabris, Mondadori 1997.

martedì 17 giugno 2014

* Pane e tempo * di Lucia Grassiccia

Quanto pane serve? 
Quanto tempo serve?
Tempo e attenzione sono davvero due cose diverse?
Ti offro la mia dose, mi domando la tua dose. Guardo il piatto che mi guarda, entrambi siamo pieni, inutili l'uno per l'altro. Non ho riserve di energia per bruciare calorie, non ho una cucina scaldata dal forno per accumularle.
Non ho le mani nella pasta e il mattarello è un bastone (solo infarinato).
Non ho bocche da sfamare; ah sì, la mia. Non ho tentazioni ma vorrei avere tentativi, allorché la bontà si presta alla mia bocca.
Un tozzo di pane durante il lavoro ti salva la vita, gli salva la coscienza. Un tozzo di pane si può stringere in mano durante i morsi, ti può calare nello stomaco per consolarlo. Ma prima e dopo lo potrai sempre desiderare.

Laboratorio di Scrittura alla Biblioteca Venezia, 7 giugno 2014