lunedì 27 gennaio 2014

*Castagnaccio* di Anna Parigi


In pieno autunno e poi d’inverno la cucina era densa di umidi vapori, i vetri si appannavano e noi bambini vi scrivevamo i nostri nomi. La mamma era indaffarata ai tegami borbottanti di minestroni, stracotti e fagioli all’uccelletto. Tanti profumi da portare in tavola, ma il più dolce e avvolgente era quello del castagnaccio , che invadeva il corridoio fino all’anticamera. All’epoca questo dolce rustico, se di dolce si può parlare, era poco conosciuto in Lombardia e a Milano lo si poteva trovare in qualche panetteria preparato in maniera impropria, era cioè di spessore alto e massiccio, una sorta di mattonella ben lungi dall’assomigliare al basso, unto, fragrante castagnaccio di Lucca o Firenze.

Quando sentivo il profumo di castagna lievemente corretto dall’aroma dei pinoli e dell’olio d’oliva mi riempivo di contentezza, i polmoni si allargavano a quell’aria calda di forno trascinante un che di natura e di bosco: gli ingredienti del castagnaccio erano infatti tutti frutti della terra, semplici ed essenziali come l’alito di vita.
La farina di castagna aveva una consistenza impalpabile dovuta al lungo particolare trattamento a cui erano, per tradizione, sottoposte le castagne in Toscana. Un procedimento, come appresi più tardi, molto diverso da quello impiegato in Piemonte e in altre regioni d’Italia. Sui monti della Toscana le castagne erano essiccate in locali di pietra su un graticcio, sotto il quale, per circa quaranta giorni, ardeva un fuocherello alimentato da legna di castagno. Poi tolti gusci e pellicine venivano macinate ottenendo una farina impalpabile come la cipria e dolce perchè priva dell’epiderma che rende amarognole tutte le altre farine di castagne.

Dunque il nostro castagnaccio era preparato con farina rigorosamente toscana secondo l’antica semplicissima ricetta: farina di castagna, acqua, olio d’oliva e pinoli. Sciolti i grumi, il liquido non doveva essere troppo denso e, versato in una teglia, doveva arrivare a metà bordo per ottenere un castagnaccio né troppo alto né troppo basso. In ogni caso era preferibile basso perché più saporito. La mia fetta unta, morbida, con i pinoli sparsi era per me bambina la memoria di immagini forse non del tutto chiare e consapevoli delle mie origini, di quelle dei miei genitori e giù giù nel tempo dei miei antenati. Era una sorta di correlativo oggettivo eliottiano che evocava terra, selve, rocce, e soprattutto una lingua con la “c” aspirata, con quella consonante etrusca arrivata fino a me tramite mia madre e mio padre. Non diceva infatti la mamma scherzando - ma non tanto - che noi discendevamo dagli Etruschi?

Laboratorio alla Biblioteca Venezia, 2012

venerdì 17 gennaio 2014

*Il frigo* di Antje Stehn




Tempo fa ho visto una mostra di Roy Lichtenstein. C’era un disegno che mi aveva colpita particolarmente. Si trattava di un frigo aperto, con una mano femminile che lo stava pulendo.
Certo, la solita associazione: il frigo e il mondo femminile.
Però se si osserva qualcuno aprire il frigo, scivolando con lo sguardo lungo i piani, da destra a sinistra, da sopra a sotto, appena trovato qualcosa di appettitoso si nota quello schizzo di felicità che illumina gli occhi, che mi ricorda proprio quello dei neonati quando vedono la mamma con la tetta piena e pronta. L’abbondanza alimentare e l’immediata soddisfazione, in effetti, fanno parte del mondo delle donne.

Noi in casa avevamo dei problemi col frigo.
Ormai è morto. Aveva 20 anni in groppa, era una fine lenta, inevitabile accompagnata da strani mugugni e rivoli di liquido marrone che si versava nelle fessure tra le mattonelle.
Noi che la morte la teniamo gelosamente lontano dalla nostra vita, nella frenesia della quotidianità per diversi giorni non ce ne siamo neanche accorti.
Quando le verdure erano ricoperte da una morbida peluria di muffa ci allarmavamo.
Seguivano tentativi di rianimazione, scuotimenti, smontatura del termostato, tutto inutile.
Qualcosa ci impediva di fare il funerale nella discarica: il nostro obsoleto elettrodomestico ci aveva fatto compagnia da tempo, fedele, nel suo modo modesto e leale. Non aveva niente della carcassa, sembrava piuttosto una cassa di risonanza con piccoli cristalli di pensieri appesi nel vuoto.
Si sperava che qualche mano esperta lo potesse riportare in vita e mentre aspettavamo il miracolo, il cibo era esternalizzato sul balconcino.
Il clima ci dava una mano, finché imprevisti giorni di pioggia complicavano l’andazzo.
La vita famigliare cambiava, la spesa si doveva fare ogni giorno, si cominciava a litigare perché mancava questo o quello.
Nei suoi tempi migliori il frigo non era solo un contenitore ordinato, ma allo stesso momento era anche il dirigente segreto del menu. I cibi di prossima scadenza sempre ben visibili in prima fila toglievano le difficili decisioni su che cosa mangiare, perché si cucinava secondo i termini stampati sulle confezioni. Non ci rendevamo conto che il cibo, che doveva essere mantenuto fresco dal frigo, in realtà era 'fresco' per via della temperatura, non per l’età: mangiavamo frutta e verdura che aveva subito uno strano lifting. Chi ha un orto, sa di cosa parlo. La verdura raccolta in giardino, sopravvive al massimo un giorno in frigo, dopo diventa molliccia e perde il sapore.
Ma nonostante tutto eravamo affezionati al nostro frigo, non era mica colpa sua se gasano le mele e incerano le zucchine.
- “Potremmo - propose nostro figlio - chiedere alla vicina di casa di congelare dei cubi grossi di giaccio nel freezer e utilizzarli nel frigo, come si faceva tanti anni fa quando i venditori di giaccio passavano per le case.”
Però prima che potessimo realizzare questa idea venne il tecnico e, dopo poche prove, stabilì l’insufficienza cardiaca. Il motore non riusciva più a pompare in alto il freddo.
Agli uomini fanno dei bypass, ma il destino di una macchina è più drastico.
Mentre toglievo dalla porta il quadro magnetizzato di Guernica con i suoi uomini e animali straziati nostro figlio commentava con nostalgia: “Lo avevate già prima che io nascessi.”
Ormai sono passati diversi anni. Abbiamo risposato un nuovo frigo, splendente, silenzioso, un perfetto elettrodomestico, categoria triplice A, status symbol del politically corretto. Ma niente è più come prima, non solo perché tutto il paese ha perso le sue tre A.
Da quel giorno siamo presi da una strana inquietudine, come se stessimo aspettando qualcosa, come se il “Geist”, lo spirito, del nostro vecchio Kelvinator stesse ancora vagando come un Odradek tra le mura della cucina e non riuscisse a completare la metempsicosi verso il suo successore brillante. 


Laboratorio di scrittura 2012

sabato 11 gennaio 2014

*Privilegio immorale* di Roberto Iannetti



Le caratteristiche dello “special meal”, il pasto speciale, sono tante.
In Louisiana non deve costare più di 15 dollari, mentre in Florida si può arrivare fino a 40, ma deve essere cucinato solo con ingredienti locali.
Nello “special meal” si può richiedere ciò che si vuole, ma non tabacco o alcolici. Si può condividere lo “special meal” con un amico, ma si può anche decidere di regalare lo “special meal” ad altri amici.
In Texas lo “special meal” era una amatissima tradizione, gratuita e senza limiti.
Un sogno! Potevi ordinare tutto ciò che volevi!
Una tradizione che è durata per molti anni, dai primi del 1900 fino al 2011, ma poi è stata abolita. Colpa di un certo Lawrence Russell Brewer.
Il signor Brewer ha approfittato della gratuità dello “special meal” per ordinare: due bistecche di pollo fritto con salsa di cipolle, una omelette con formaggio, pomodori, cipolle, peperoni e peperoncini, un triplo cheeseburger con pancetta, una grande porzione di gombo fritto con ketchup, un arrosto misto di carne alla brace, tre piatti di fajita, pane, una pizza con peperoni, prosciutto, pancetta e salsiccia, una grande confezione di gelato, burro d'arachidi e tre birre analcoliche. Insomma, davvero un pasto speciale.
Ma, e in ogni storia che si rispetti c’è sempre un ma, il 21 settembre 2011 il signor Brewer, sedutosi a tavola di fronte a tutto questo ben di Dio, non toccò neanche la forchetta. “Non ho fame” disse.
Fu davvero uno scandalo. Intervennero deputati, governatori, senatori. La tv e i giornali ne parlarono per mesi. Rifiutare uno “special meal”? Che il signor Brewer fosse una cattiva persona questo già lo si sapeva, nessuno aveva dubbi a riguardo, ma ordinare un pasto del genere e poi rifiutarlo… questo era davvero immorale!
“Basta!” tuonarono dalle alte sfere, “l’era dello special meal in Texas finisce qui!”
La fine di un privilegio immorale.
Dopo questo evento, solo in Texas, nel 2012, ben dieci persone non hanno potuto avere il loro “special meal”. Tutto per colpa dello scherzetto del signor Brewer.
Domani, 18 ottobre 2012, il signor Anthony Haynes, non potrà godere del suo “special meal”. Sarà un semplice “last meal”, un banalissimo ultimo pasto.

Ricetta: Fate entrare il signor Haynes in una stanza, fatelo stendere su un lettino e legatelo attentamente ai polsi, ai bicipiti, al torace, all’addome e alle gambe. Sistemate un ago per braccio. Aprite la tenda di fronte al signor Haynes, di fronte a voi ci saranno cinque testimoni, non abbiate timore, loro sono lì per guardare. Iniettate nel corpo del signor Haynes i tre flaconi che vi trovate davanti. Una fiala di barbiturico (servirà a provocare l’incoscienza), una fiala di un derivato del curaro a vostra scelta (servirà a paralizzare la respirazione) ed infine una fiala di cloruro di potassio (si tufferà nelle vene per correre in fretta a bloccare definitivamente il cuore del signor Haynes).
Aspettate circa dieci minuti o un quarto d’ora.

Il signor Brewer era un omicida e un razzista. Insieme ad altri due uomini ha ucciso un uomo di colore picchiandolo, legandolo ad un camioncino e trascinandolo per chilometri lungo l’asfalto.
Il condannato a morte Brewer è stato ucciso per iniezione letale il 21 settembre 2011.
Il signor Haynes ha 33 anni e nel 1998, quando di anni ne aveva 19, ha ucciso un poliziotto.
Il condannato a morte Haynes morirà domani, 18 ottobre 2012, per iniezione letale.


Laboratorio alla Biblioteca Venezia, 2012

*Pensieri illuminanti di una foglia di insalata* di Santo Zanolli




Io, foglia di insalata, sono diversa da voi umani, ma non quanto voi crediate.

Io, che mi alimento senza avere una bocca e respiro senza avere polmoni, come potrei non avere il pensiero, pur se priva di un cervello?

Senza avere occhi, io percepisco la luce, che è, assieme alla terra, nutrimento e sostanza del mio essere.

Io posso pensare le cose che vi dico perché ho una memoria storica e questa, come accade a voi umani senza che ve ne rendiate conto, mi consente di vivere e di sentire andando oltre la breve durata della mia esistenza. Ho accumulato dentro di me l’esperienza di miliardi di foglie di insalata che mi hanno preceduto, che hanno vissuto e visto cose che non fanno parte della mia specifica esperienza di vita, ma che pur conosco.

I temporali, gli arcobaleni, le soffici nevicate, le visite del gatto e quelle della più paziente lumaca non mi sono estranee.

Posso condividere con voi la sete e il dolore.

Infatti posso soffrire la sete per le nuvole capricciose o per il contadino distratto; posso subire le ingiurie dolorose di un passero dispettoso o della grandine assassina, e sentirmi triste e tremante nella notte troppo lunga, io che sono verde di luce.

Certo le notti di luna piena mi danno un lieve conforto e anche le notti stellate mi donano qualche sorriso; però solo il sole è in grado di darmi quel calore deciso e quella vibrante luminosità che mi fanno star bene…….come succede a voi del resto.

E quando il momento del trapasso verrà, mi auguro che non sia la interminabile marcescenza dovuta all’incoscienza di chi semina ma non raccoglie, ma il deciso passare di un coltello affilato, che tronchi con la vita anche qualsiasi sofferenza possibile. E questo è esattamente quello che voi umani augurate per voi stessi.

Laboratorio di scrittura 2012

venerdì 3 gennaio 2014

da *Salvataggio di Mezzanotte* di Adrienne Rich


8

Impossibile mangiare un uovo    Non sai dove è stato
Il comune corpo della gallina
non garantisce alcuna sicurezza     La campagna si rifiuta di fornirne
Il latte è in polvere   la carne è cara ed è anche drogata

Vecchie mura l'orgoglio di architetti    crollando
ci trovano in nicchie precarie    a dormire come volpi
noi cercatori noi non cercati noi
ricercati per il crimine di essere noi stessi

La fama striscia sul ventre come ogni altro animale a caccia di cibo
Le rovine sono crepe nel sistema che lasciano passare
erbacce e luce    ridisegnando
la Città delle Aspirazioni

Impossibile mangiare un uovo    Senza stupirsi, non senza essere felici
soffriggiamo verdure selvatiche e aglio    sfamiamo i gatti selvatici
e quando i documenti irregolari della nebbia si strappano
scrutiamo i suoi spiragli cercando stelle giovani
                     nella cintura di Orione

1996


Midnight Salvage
8

You cannot eat an egg    You don't know where it's been
The ordinary body of the hen
vouchsafes no safety    The countryside refuses to supply
Milk is powdered    meat's in both senses high

Old walls the pride of architects    collapsing
find us in crazed niches    sleeping like foxes
we wanters we unwanted we
wanted for the crime of being ourselves

Fame slides on its belly like any other animal after food
Ruins are disruptions of system leaking in
weeds and light    redrawing
the City of Expectations

You cannot eat an egg    Unstupefied not unhappy
we braise wild greens and garlic    feed the feral cats
and when the fog's irregular documents break open
scan its fissures for young stars
                     in the belt of Orion
 
 
 traduzione R.S.